Da oggi troverete in tutte le librerie il nuovo romanzo di Matteo Righetto, “La stanza delle mele” e vi prego di fare una sacrosanta cosa: appena lo noterete su quegli scaffali, non esitate, prendetelo e lasciatevi cullare dalla sua trama così profonda che profuma di legno e di muschio.
Prima di raccontarvi di questo libro ci tengo con tutto il cuore a dire un grande GRAZIE all’autore, Matteo Righetto, col quale ho avuto l’inifinto piacere di parlare e di confrontarmi più volte. Ha voluto che leggessi questo libro in anteprima e vi giuro che la felicità non so nemmeno descrivervela, sono grata, grata in tutto e per tutto. Il secondo grazie va alla Feltrinelli che, gentilmente, mi ha spedito la copia in omaggio.
Sembra scontato tutto questo ma no, non lo è, la gentilezza non è mai scontata, teniamolo bene a mente.
Veniamo a noi, andiamo nella stanza delle mele.
Questo romanzo è suddiviso in due parti: nella prima il nostro protagonista, Giacomo, ha 11 anni e vive dai suoi nonni paterni a Daghè, sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi coi suoi due fratelli. Il padre è disperso in guerra nella spedizione in Russia e la madre è morta di una malattia. Il nonno e Giacomo hanno un rapporto conflittuale, il vecchio uomo di montagna non perde occasione per punirlo e poi rinchiuderlo nella stanza delle mele selvatiche. Tutto cambia quando una notte d’estate, durante un temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel bosco per riprendere la roncola che aveva dimenticato ed attraverso la luce di un lampo, nel cuore del bosco sotto la pioggia battente, Giacomo vede il corpo di un uomo appeso ad un albero. Un impiccato. Da quel momento in poi, tutto cambia.
Nella seconda parte del romanzo Giacomo ha 51 anni, vive a Venezia ed è un rinomato scultore che intaglia e lavora solo ed esclusivamente il legno delle sue montagne. Sono passati 41 anni da quella serata e da quel temporale di fine estate, dall’impiccato nel bosco ma Giacomo, per chiudere il cerchio, deve risolvere questo mistero. Non aveva avuto una visione, lui quell’uomo che penzolava dall’albero l’aveva visto per davvero. Nonostante gli anni trascorsi non si dà pace, chi era quell’uomo? Il nodo dev’essere sbrogliato, le credenze popolari si mescolano al mistero finché Giacomo non si ritrova lì dove tutto ebbe inizio, tra i suoi monti.
Proprio come la storia che è suddivisa in due parti, anche la penna dell’autore svolge due ruoli diversi; nella prima infatti sembra quasi severa, le atmosfere sono rigide, spigolose e cupe come un temporale di montagna e poi c’è Giacomo, un bambino che ha tanto da dire ma che non viene ascoltato. E’ un piccolo protagonista che ha bisogno del lettore, del suo supporto, ha bisogno di essere creduto e di esser protetto. Poi arriva la seconda parte del libro e qui la poetica penna dell’autore sboccia in un tripudio di emozioni. I pezzi del puzzle vanno al loro posto, Giacomo è cresciuto e questa volta è proprio lui a prendere per mano il lettore, lo abbraccia con la sua consapevolezza e lo invita a buttare nel fuoco del camino tutto ciò che dev’essere eliminato per stare bene, lo invita a levarsi quel maledetto peso che è un piombo sul petto.
In questo romanzo c’è tutto. La natura, quella montagna che svolge un ruolo fondamentale, c’è l’oscurità e poi la quiete, c’è profumo di polenta, di muschio bagnato e di mele, di legno e di sogni.
E’ una storia preziosa, che entra addosso.
Dire che ve la consiglio è poco. Affidatevi al sentiero che l’autore ha deciso di farvi percorrere, non ve ne pentirete.
Buona lettura a tutti quanti!