“Bucaneve” di Mélissa Da Costa

Mmm. Eh sì, questo articolo può cominciare solo con un mugolio.
“Bucaneve” di Mélissa Da Costa mi ha fatto storcere lo bocca dall’inizio alla fine, salvo solo le ultime 100 paginette scarse, per il resto ripeto il “mmm“.
Ma andiamo per gradi perché c’è molto da dire quindi preparatevi un bel caffeino e poi tornate qua che se ne ragiona insieme.

Mélissa Da Costa è per me un’autrice dalla penna sensibile ed emotiva che mi aveva conquistata con “I quaderni botanici di Madame Lucie” e poi con “Tutto il blu del cielo”, due storie davvero piene di emozioni, da schiaffo e carezza, di quelle che comunque rimangono nei pensieri.

Con questo romanzo invece abbiamo un ottimo sbandieramento del nostro amico marketing. Dico questo perché “Bucaneve” non è il terzo romanzo dell’autrice bensì il primo. Questa “mossa” se così vogliamo chiamarla, è furbetta perché i due romanzi precedenti (“precedenti” solo a livello di pubblicazione a questo punto) non sono nemmeno parenti di questo, sono di un’altra categoria.
E che succede? Che i lettori si affezionano alla penna dell’autrice, ne riconoscono le sfumature, le storie che presentano un subbuglio emotivo, lo schiaffo che poi piano piano e col districarsi della trama, si trasforma in carezza. Bene, dopo due romanzi come quelli un lettore comune come posso essere io, scopre questa terza uscita e che fa? A scatola chiusa si fionda in questa storia
con l’idea di ritrovare quella penna lì, quelle sensazioni o comunque un qualcosa di più evoluto visto che le penne “si evolvono”. Ma qui, il buon vecchio lettore, rimane fregato.
Ahimè, buongiorno marketing.

Detto ciò… Parliamo del libro?
Bah amici miei, che dirvi. Per me è stata una delusione e ve lo dico con dispiacere perché appena ho saputo di questo nuovo arrivo in Italia ne ero entusiasta. Ho letto recensioni super felici su “Bucaneve” ed è vero che la lettura è molto soggettiva però ci sono anche dei “canoni” se così possiamo chiamarli che rendono un libro oggettivo.
Ad esempio l’intreccio, lo svolgimento della storia. Ecco, qui c’è la noia delle noie con situazione surreali che non stanno né in cielo né in terra.

"Bucaneve" di Mélissa Da Costa

La trama s’incentra sull’amore tossico, sulle relazioni che affossano. Abbiamo una schiera di personaggi avvolti dal dolore ma che non sono in grado di ammeterlo, di valutarlo, di lavorarci sopra. Qui il dolore non si analizza per superarlo, viene praticamente passato di mano in mano, pare di giocare a palla avvellenata.
Ambre, la protagonista, è una ragazza “dai capelli color ambra” (frase che viene ripetuta non so quante volte), che ai miei occhi è risultata antipatica dall’inizio alla fine. Non fa una vera e propria evoluzione né in bene né in male. Noiosa, antipatica, una lagna che ti fa sospirare di continuo.

Ma “Bucaneve” di Mélissa Da Costa è una storia scritta male o brutta? No ma banale sì, parecchio.
Circolare, ripetitiva e prevedibile. Nota di merito per Wilson, un personaggio marginale ma che alla fine risolleva un po’ il morale ma per quanto mi riguarda non è bastato. Che poi oh, qui la soluzione a tutto sembra esserel’alcool… Bere per dimenticare il dolore, le parole, le sensazioni, per anestetizzare… Mmm. C’è forse da bere per dimenticare questa storia? Chissà.
Oh come ci sono rimasta male, credetemi. Mi dispiace proprio tanto perché avevo adorato gli altri suoi due romanzi e tanto anche. Regalati, consigliati… Ma questo per me è un no.

Mi ha lasciato proprio l’amaro in bocca. È vero anche che non tutte le ciambelle vengono col buco, quindi non metto assolutamente il crocione sull’autrice, ritenterò ma coi piedi di piombo.
Ringrazio comunque la casa editrice per la copia in omaggio, nonostante questo sono una persona (in primis) e una lettrice sincera e se una storia ha delle falle a prescindere dal mio gusto personale, vanno dette.
Bon amici cari, questo purtoppo è il mio pensiero su “Bucaneve” di Mélissa Da Costa, vi auguro buon proseguimento di giornata e spero che la prossima lettura possa essere migliore!
Ah… E non tentate di scovare i bucaneve in questa storia, perché non ci sono nemmeno se li cercate con la lente d’ingrandimento.