Una panchina come tante

Camminavo col solicino primaverile che mi batteva addosso delicato, sentivo i suoi raggi caldi e ho subito pensato che a breve sarebbe arrivata la stagione afosa che io non sopporto più di tanto, nonostante questo pensiero vagamente noioso ma inevitabile, ho notato una panchina in un piccolo pezzettino di verde. Guardai l’orologio sullo schermo del telefono rendendomi conto di essere piuttosto in anticipo per l’appuntamento e quella panchina un po’ usurata dall’età e dalle intemperie mezza al sole e mezza all’ombra m’ispirava particolarmente e allora decisi di mettermi seduta lì ma… A fare cosa? Beh, facile: a pensare. Io penso sempre sapete, è il mio hobby preferito e spegnere il mio cervello è una cosa estremamente ardua da fare.
Comunque, mi sono seduta a gambe incrociate su quella panchina, guardai in borsa e subito feci un pensiero poco felice “Oh cavolo… Non ho preso il mio libro!”. Strano, io non esco quasi mai senza un libro, fa sempre comodo averlo dietro, anche solo per sentire il profumo delle pagine. Bene, visto che non potevo leggere che diamine avrei potuto fare per ammazzare il tempo? Io sono una che si annoia facilmente, quindi mi guardai attorno e oltre al via vai di macchine dietro di me che se ne stavano in fila in attesa della luce verde sul semaforo, c’erano tanti alberi alti dai lunghi rami pieni di foglie di un verde veramente vivo; mi sforzai e mi scervellai un po’ per riconoscere di che albero si trattava ma, mannaggia a me, sono una frana in materia, ne riconosco pochi e quelli più facili chiaramente come l’Abete grazie al Natale, l’Olivo perché in Toscana ne siamo pieni, il Cipresso perché è alto e magro, il Pino perché l’Impruneta ne è piena, il Salice Piangente perché è il mio preferito in assoluto e anche il Baobab ma solo grazie al libro “Il Piccolo Principe”, eppure quando vado a camminare col babbo , lui mi dice sempre di che albero si tratta ma non c’è verso, non me ne ricordo mai mezzo, su questo argomento ho la memoria corta.
Buttai lo sguardo in basso, tanto era inutile pensare al nome di quel benedetto albero, non mi sarebbe mai venuto in mente, l’erba era di un verde carico d’energia, come se volesse esprimere la sua forza e la sua vitalità, colsi una piccola e timida Margherita ai piedi della mia panchina e me la girai tra le dita. Lei mi guardava col suo pistillo giallo ed io facevo lo stesso coi miei occhi scuri, mi resi conto che nella sua completa semplicità era veramente perfetta e, senza dover dimostrare niente a nessuno, nemmeno alla Rosa più pomposa ed elegante, quella piccola Margherita era bellissima coi suoi petali bianchi minuti e tutti uguali, sembrava come una donna struccata, senza abiti sfarzosi né gioielli, senza la messa in piega e senza le unghie sistemate eppure estremamente bella e comoda nella sua semplicità. Rigirandola fra le dita ho ripensato a quando ero piccola, mi divertivo a fare dei braccialettini, delle collanine e delle piccole corone fatte solo con le Margherite ed il pensiero seguente fu “…Quant’è bello giocare con la natura…“. Eh sì, lei è sempre lì a nostra disposizione solo che noi, piccoli esseri umani, spesso e volentieri ne facciamo un pessimo utilizzo trattandola male, la ignoriamo e quando al telegiornale sento parlare delle catastrofi naturali mi viene sempre da pensare che la natura ci voglia dire qualcosa, come se ci stesse rimproverando o per ricordarci la sua presenza, che lei c’è, non dorme silente ma è sempre presente con la sua immensa ed insormontabile potenza.
Sospirai, sempre seduta sulla mia panchina un po’ malandata e nei pochi minuti che mi rimanevano prima di andare ho proprio voluto godermi quel piccolo giardinetto che, coi suoi colori e la sua natura vestita di forza primaverile, regalava una vera botta di energia e una silenziosa positività. Sono rimasta qualche istante seduta cercando di non far formulare nessun pensiero concreto al mio cervello, non è stato facile ma il fruscio delle foglie di quegli alberi fortunatamente riuscì a prendere il sopravvento e la bolla di silenzio che si creò nella mia testa accompagnata solo dal rumore della natura fu un toccasana, per quella manciata di secondi non ho sentito il caotico rumore delle macchine, sono riuscita ad alienarmi, ad evadere un pochino dalla realtà e di questo ne sono rimasta veramente contenta. Mi accontento di poco? Beh, sì, se questo è definibile “poco“.
La cosa meravigliosa di quei minuti? Inizialmente mi ero seduta in modo neutro su quella panchina, senza arte né parte ma quando mi sono alzata per andare via avevo il sorriso sulle labbra e ho pensato che se ci rendiamo disponibili ad ascoltare la natura, lei ci dà tanto e quel “tanto” che intendo io è una sensazione che riesco difficilmente a descrivere.
Credo che cercherò di arrivare un pochino prima ogni volta che ne avrò l’occasione, mi piace passare dieci minuti in quel giardinetto e su quella panchina.